Durante i corsi di tiro rivolti agli operatori di polizia richiediamo di esporre le loro esperienze vissute durante il lavoro e, in particolare, i dettagli e le circostanze ove, loro malgrado, sono stati costretti ad estrarre, puntare o esplodere dei colpi con l’arma in dotazione. Si ritiene questo continuo report assolutamente prezioso, sia ai fini statistici sia ai fini dell’analisi delle dinamiche degli scontri a fuoco. 

A queste informazioni, poi, si aggiungono sempre preziosi dettagli che riguardano le fasi successive all’impiego delle armi e quindi le conseguenti ripercussioni giuridiche e psicologiche.
Ma l’argomento che più si ripete e su cui si interrogano maggiormente gli operatori riguarda la modalità di porto dell’arma. Quando parliamo di questo argomento con i partecipanti riscontriamo una grande confusione circa il porto d’armi e cosa si intende per utilizzare in maniera operativa un’arma.

(…)RICORDIAMO: le armi non sparano da sole!
Attenzione: sotto l’effetto degli ormoni dello stress (adrenalina e noradrenalina) oltre ai deficit del campo visivo ed uditivo, sarà compromessa la motricità fine (necessaria per disinserire la sicura manuale), sarà estremamente complicato attivare azioni che prevedono movimenti coordinati (prendere il caricatore da un fianco ed inserirlo, inserire il colpo in camera e rispondere al fuoco).

Per ragioni di sicurezza andrebbero bandite tutte le cattive abitudini che, di fatto, renderebbero incapaci gli operatori all’utilizzo responsivo ed efficace dell’arma da fuoco.
Le chiavi della sicurezza risiedono all’interno di ogni operatore, destinatario e responsabile di tutte le conseguenze (fisiche, psicologiche, giuridiche) pre, durante e post conflitto.

Occorre che si pretenda un addestramento utile alla gestione di uno scontro armato, che sia continuativo e impartito da formatori specializzati e con esperienza operativa, non sportiva.

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Articolo di Cristiano Curti Giardina estratto da: Crocevia Ed. Maggioli n.5 / 2019 – Diritti Riservati