Il lavoro di polizia di prossimità assume senza dubbio il ruolo preventivo per il controllo del territorio. Le pattuglie di Polizia sono chiamate a rispondere a molteplici richieste d’intervento. Ogni giorno ci si imbatte in nuove esperienze, tanto che è diventata consuetudine usare gruppi di chat per poter informare i colleghi di allert di ogni specie, una rete non ufficiale di informazioni tra chi come noi lavora in strada. Alcuni di questi sono stati introdotti nelle attività formative in materia di tecniche e tattiche operative. Il nostro compito di formatori è rendere consapevoli i discenti di quali e quanti pericoli insospettabili si celano dietro una serie di oggetti comuni, indumenti e accessori che nascondono un alto potenziale offensivo. La progettazione degli oggetti o degli strumenti di cui stiamo per parlare, partono da un presupposto che è lo stesso movente attrattivo di chi li acquista. Ovvero di non essere facilmente riconoscibili, occultabili e per chi ha in mente di delinquere anche di poter eludere controlli di polizia.
La notizia, che non fa notizia, è che questi strumenti sono acquistabili liberamente e trasportabili, e in molti casi non possono essere portati a meno che sussista un “giustificato motivo”.
Ai sensi della legge 18 aprile 1975, n. 110, articolo 4, comma 2, ricorre il giustificato motivo solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento, alla normale funzione dell’oggetto (Cassazione penale, sez. I, 29 gennaio 2008, n. 4498).
Il Supremo Collegio ha ritenuto che
il giustificato motivo, non è quello dedotto a posteriori dall’imputato o dalla sua difesa, ma quello espresso immediatamente, in quanto riferibile all’attualità del momento e suscettibile di una immediata verifica da parte dei verbalizzanti (sez. I, 26 febbraio 2013, n.18925, Carrara, RV.256007).
Potrebbe sembrare superfluo ma è utile specificare che con il termine “porto” s’intende la capacità di avere la pronta e materiale disponibilità dell’oggetto e con essa la facoltà di portarlo liberamente in luoghi aperti al pubblico.
Nel caso si portino, quindi, strumenti come quelli raffigurati, acquistabili per scopi più o meno leciti, andrebbe a decadere, vista la ricercata occultabilità, il presupposto della “motivazione giustificabile” e concorrerebbe, in caso di utilizzo e ferimento di terzi (art. 582 c.p. “lesioni personali”), oltre il reato di porto abusivo di arma od oggetti atti ad offendere di cui all’art. 4, legge n. 110 del 1975 anche l’aggravante della premeditazione (art. 577 c.p.), qualora concorrano due elementi:
A. cronologico, consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra l’insorgenza e l’attuazione dell’intento criminoso, sufficiente a far desistere dal proposito criminoso un uomo di media moralità;
B. ideologico, estrinsecantesi nel perdurare, nell’arco di tempo de quo, della risoluzione criminosa nell’animo dell’agente. Quest’ultima non va confusa con la c.d. macchinazione, consistente nella predisposizione dei mezzi e delle modalità per la realizzazione del reato.
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Articolo di Cristiano Curti Giardina estratto da: Crocevia Ed. Maggioli n.6 / 2019 – Diritti Riservati